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L’approccio sistemico alla consulenza psicologica

La consulenza psicologica individuale

A chi è rivolto?

L’individuo si rivolge allo psicologo perché qualcosa nel suo mondo non funziona più in maniera adeguata e questo genera sofferenza e malessere. Il soggetto riconosce che un’altra persona può prendersi cura di lui e apre le porte del suo “teatro personale” per giungere insieme ad una ristrutturazione del proprio “quadro di vita”.

È rivolto a tutti coloro che stanno attraversando delle fasi critiche e delle problematiche che hanno indebolito la loro personalità e il loro benessere fisico e mentale.

  • Individui con conflitti tipici dell’età e con le problematiche legate alle varie fasi di vita:
    • Adolescenza: il periodo di transizione, “dove si è ancora piccoli per essere definiti adulti e troppo grandi per essere definiti bambini”, caratterizzato dai cambiamenti somatici e psicologici, dai conflitti con le figure genitoriali, dai conflitti che riguardano l’aria della sessualità, dall’identificazione con il gruppo dei coetanei, dallo sviluppo di capacità critiche e riflessive, dalla ricerca spesso dolorosa e complessa di un’identità.
    • Età adulta: ricca di momenti di stanchezza, di riflessioni, progetti, realizzazioni, frustrazioni. Il lavoro, la famiglia gli impegni quotidiani lasciano poco spazio alla dimensione individuale e possono avere ripercussioni negative nella relazione con il partner, con i figli, con la vita sessuale.
    • Vecchiaia: spesso costellata da momenti di solitudine, di perdita di vitalità, di lutti, di perdita di ruoli sociali e lavorativi, di cambiamenti fisici e cambiamenti legati alla sfera sessuale.
  • Individui con una scarsa autostima che vogliono riappropriarsi di un’immagine di sé positiva che dia loro benessere.
  • Individui colpiti da un lutto, una malattia, un licenziamento, una separazione che necessitano di un lavoro di comprensione, elaborazione e superamento dello stato di sofferenza.
  • Individui che soffrono per problemi relazionali con il partner, con i colleghi, con la famiglia d’origine, con i propri figli e che non riescono a sedare i conflitti, la sofferenza e che sviluppano un senso di solitudine e un disagio interiore.
  • Individui che a causa di blocchi creativi, presentano una difficoltà a gestire e trovare soluzioni adeguate ai problemi che si presentano nell’ambito privato o lavorativo.
  • Individui che a causa dello stress o di stati depressivi o ansiosi non riescono a gestire il tempo libero, non riescono a gestire e controllare le emozioni, non riescono a comunicare in modo efficace e non sviluppano un’intelligenza emotiva ecc.

Quando un individuo vive uno stato di sofferenza, desidera uscire da esso il più presto possibile e nel modo meno doloroso. La sofferenza psicologica tuttavia richiede un minimo di pazienza per essere affrontata.

Può trattarsi di un’esigenza cresciuta man mano fino a esplicitarsi in una domanda di consulenza oppure di un bisogno nato improvvisamente in particolari circostanze di vita (ad esempio: la rottura di una relazione affettiva, un lutto improvviso, un insuccesso lavorativo, un cambiamento che modifica radicalmente la propria vita).

Consultare uno psicologo significa cercare di dare un significato alla propria sofferenza e cominciare a porsi delle domande dalle cui risposte (anche se parziali) scaturisce la decisione su come, e se, affrontarle con un percorso psicologico.

A volte basta una consultazione con lo psicologo per chiarirsi le idee; altre volte si decide di intraprendere un percorso, stabilendo, insieme allo psicologo, i tempi e le modalità.

L’obiettivo principale di un percorso psicologico è quello di raggiungere un cambiamento. Tale cambiamento si concretizza nel raggiungimento di uno stato di maggiore benessere personale, non inteso necessariamente come risoluzione totale e definitiva dei problemi presentati all’inizio, ma come acquisizione e attivazione di risorse, di strumenti necessari per affrontare e superare le problematiche passate, presenti o future. L’individuo si rivolge allo psicologo perché qualcosa nel suo mondo non funziona più in maniera adeguata e questo genera sofferenza e malessere. Il soggetto riconosce che un’altra persona può prendersi cura di lui e apre le porte del suo “teatro personale” per giungere insieme ad una ristrutturazione del proprio “quadro di vita”.

COME INTERVENGO?

  1. La chiarificazione: per comprendere e rischiarare aree che appaiono vaghe e confuse per il paziente.
  2. La verbalizzazione degli affetti: per trasformare in parole stati d’animo che il paziente non è in grado di esprimere attraverso la comunicazione verbale.
  3. La riflessione: per meditare su quanto espresso dal paziente per una rielaborazione successiva.
  4. La spiegazione: per favorire gli strumenti che permettano al paziente di acquisire un buon “esame di realtà” di ciò che sta vivendo.
  5. Domande: che possano aprire le porte alla riflessione e alla ricerca di soluzioni creative.

Il modello della consulenza individuale sistemica

Il modello a cui faccio riferimento nel mio lavoro è quello dell’approccio Sistemico, integrando altri modelli avanzati. La premessa teorica sostiene che l’individuo non può pertanto essere considerato come solo, ma come facente parte di un sistema. L’individuo non nasce nè cresce isolato, sarà pertanto opportuno e utile valutare il contesto familiare che lo dà alla luce e le modalità relazionali che egli mette in atto in campo sociale, per rapportarsi con il prossimo. Spesso l’individuo reagisce al disagio familiare con un sintomo.

L’analisi del sintomo, in senso simbolico, potrà essere utile ma è più opportuno intervenire sul contesto nel quale esso ha avuto origine per poterlo curare alla fonte e, per impedire che la situazione familiare esistente rinforzi determinati comportamenti.

Il malessere presentato dalla persona viene letto non tanto come problema dell’individuo, ma come espressione di disagio di uno dei sistemi di appartenenza.

Viene solitamente privilegiata l’ottica familiare, ma le dinamiche disfunzionali possono collocarsi anche nel sistema coppia, nell’ambiente lavorativo, nel gruppo amicale, etc. Secondo il modello sistemico esiste una sostanziale somiglianza tra l’individuo e la famiglia cui appartiene, ed è per questo che parliamo di consulenza individuale sistemica. L’individuo ricapitola in sè le regole del sistema di cui fa parte (la famiglia d’origine) e tende a riprodurre nelle relazioni durevoli e significative la stessa relazione che ha con il proprio sistema familiare di appartenenza. Ognuno di noi rappresenta un’entità molto complessa.

Come un diamante le cui molte facce brillano in rapporto alla luce che le colpisce, così ogni persona si comporta in maniera differente in base ai contesti con cui si relaziona, in base ai ruoli che ricopre ed in base alle emozioni coinvolte in ogni relazione. Questa complessità rende indispensabile entrare dentro la “scatola nera” ed indagare i rapporti tra comportamenti, azioni, emozioni e modi di relazionarsi, e a come tutto questo si è modificato nel tempo. Il mio modello di intervento si basa sulla necessità di una ricostruzione storica (su tre generazioni) degli eventi familiari per comprendere i rapporti fra la tensione emotiva e la consapevolezza del problema. In quest’ottica, la famiglia diventa un’importante fonte di informazioni e l’individuo ha bisogno di riflettere su tali informazioni per trovare (e ritrovare) il senso di alcune importanti esperienze emozionali e di alcuni personali stili automatici di relazione.

Presupposti per la consulenza individuale

I criteri che ci consentono di valutare l’opportunità di una consulenza individuale sono diversi:

  • La richiesta deve essere formulata direttamente dall’interessato, riteniamo cioè che la consulenza Individuale sia controindicata se la richiesta viene fatta da un altro familiare o riguarda principalmente un cambiamento della coppia o della famiglia;
  • Chi richiede una consulenza individuale deve sentire un disagio;
    Esiste una condizione di autonomia economica. In questa ottica, è evidente che laddove ci venisse fatta una richiesta di consulenza per un minorenne o per un bambino (come a volte accade), saremmo propensi ad invitare tutta la famiglia a partecipare agli incontri di consulenza, in quanto riteniamo che il bambino non solo sia il portavoce di una serie di difficoltà che sta attraversando l’intero nucleo familiare, ma anche che, da solo, non sarebbe in grado di uscire dal proprio stato di disagio.

La consulenza individuale con i bambini

In base a quanto detto finora, ci sono alcune situazioni nelle quali non accetterei di vedere un paziente senza la sua famiglia. Tra queste, la più importante è quella in cui il paziente è un bambino. Vederlo da solo non è utile per tre buone ragioni. La prima è che dietro al problema di un bambino c’è sempre una coppia di genitori con problemi. La seconda è che un bambino quasi mai chiede da solo di venire in consulenza e quindi è difficile contrattare con lui direttamente ciò che può essere fatto. La terza, forse la più importante, è che il bambino – specie se con gravi problemi psicologici o psichiatrici – non potrà mai permettersi di stare meglio senza il permesso e l’aiuto dei genitori.